Storicamente l’umanità ha sempre progettato i manufatti che intendeva realizzare creandone rappresentazioni disposte su un piano, usando come supporti tavole di terracotte, pergamene, fogli di carta, schermi di computer.
Questo ha sempre obbligato i disegnatori (o progettisti) a diversi salti mortali per raffigurare in due dimensioni oggetti che in realtà erano solidi nello spazio, e quindi in tre dimensioni. Da moltissimi anni la tecnica comune per i lavori ingegneristici prevede le canoniche viste ortogonali con indicazione delle dimensioni che e’ possibile inserire in una certa vista, inserendo magari altre quote fondamentali alla comprensione del pezzo su altre viste se gli spigoli da quotare non erano visibili nella prima vista. Va da se che, oltre allo sforzo di chi disegna su viste 2d un pezzo che in realtà è un modello 3d, dobbiamo prevedere uno sforzo ulteriore da chi quel disegno dovra’ leggerlo e quindi riassemblare nella sua mente quelle linee, cerchi, archi, segmenti al fine di rifarsi l’idea del modello 3d originale. Questo processo rappresenta un vero e proprio linguaggio di comunicazione, che è patrimonio solo di una certa fetta della popolazione ma sicuramente non capillarmente diffuso.
Le cose sono cambiate radicalmente da una ventina d’anni in quà con l’arrivo dei software di modellazione tridimensionali, i quali permettono di eseguire la modellazione di un pezzo in maniera fedelissima a quello che faremmo nel mondo degli oggetti fisici, con le sue dimensioni “reali”, la possibilità di prenderlo e ruotarlo per vedere come è fatto nel lato posteriore, etc etc, quasi come se il pezzo fosse reale sulla nostra scrivania. Per il progettista il problema di travasare in 2d le sue idee in 3d è praticamente risolto: oggi nessuno che debba approcciare la progettazione di un macchinario si sognerebbe di lavorare con un software bidimensionale visti gli enormi vantaggi, sotto tutti i punti di vista, che la tecnica 3d garantisce. Il problema ce l’ha invece, e ancora bello grosso, chi quei pezzi li deve realizzare. E’ vero che potrebbe mettersi a video a ricavare le varie lunghezze, ma gli resterebbe sempre il problema di capire quali tolleranze e rugosità applicare a quel pezzo!
Le industrie automotive e aerospace si sono già da tempo poste il problema di aggiungere le informazioni necessarie alla manifattura direttamente al modello 3d senza passare attraverso il 2d, e il motivo e’ abbastanza comprensibile quando guardiamo cosa producono queste industrie: si tratta quasi sempre di solidi di forma complessa (un paraurti, un profilo alare, un faro con ottiche complesse) per il quale ogni tentativo di rappresentazione quotata in 2d è destinato al fallimento vista la continua presenza di superfici magari a doppia curvatura o anche piu’ complesse. Nel settore delle macchine automatiche il problema si presenta quasi solo nella realizzazione di camme o di portapezzi: in questi casi il disegnatore che fa la tavola 2d mette in tavola il pezzo e quota le sole superfici dedicate al fissaggio del pezzo alla parti adiacenti (fori per viti, fori per spine, cave per linguette, spallamenti, etc) e per il resto inserisce la classica dicitura: “FRESARE A MATEMATICA, RICHIEDERE FILE STEP ALL’UFFICIO ACQUISTI”.
Il problema dello step però e’ che gli unici dati che contiene sono quelli della geometria nuda e cruda, e a quota nominale, per cui vengono omesse tutte le info relative a trattamenti termici, tolleranze di forma e posizione, tolleranze lineari, rugosità superficiali, etc.
I produttori automotive e aerospace hanno quindi lavorato per introdurre queste info nei modelli 3d, sviluppando il concetto delle PMI, ossia Product and Manufacturing Information. Queste sono un set di etichette che possono essere incluse nel file della parte 3d tramite dei comodi menù nell’iterfaccia del CAD, e possono essere lette da una delle seguenti funzioni a valle:
- disegnatore che realizza le tavole 2d partendo dal modello 3d fatto dal progettista, trovandosi quindi sollevato dal dover decidere, cercando di interpretare il progetto, che tolleranze, rugosità, etc inserire nella tavola 2d.
- costruttore del pezzo 3d, che potrà studiare la sua strategia di fabbricazione (utensili, passate, avanzamenti, staffaggi) sulla base delle info che sta visualizzando a schermo
- moduli cam dedicati, che siano in grado di leggere le PMI e tradurle automaticamente nella creazione dei corretti cicli di lavorazione.
I cad tridimensionali in commercio attualmente permettono tutti di inserire le PMI nei modelli 3d ma, se parliamo della tipica azienda che produce macchinari per automazione, questa funzione è sfruttata raramente nel primo caso (passaggio di info dal progettista al disegnatore) ed è praticamente inapplicata per le altre due, che al 99,9% richiedono ancora il disegno su carta come unico documento di valore legale. Parlando di aziende di produzione di automazione, l’unico fatto reale di superamento del 2d come documento di progetto lo si può incontrare nei reparti di assemblaggio finale dove invece dei classici pannelli di legno con i disegni A0 appesi, potremo trovare un monitor con un visualizzatore in funzione, e l’operatore di assemblaggio che verifica montaggi, interroga le info anagrafiche delle parti, crea viste sezionate a suo piacimento, misura distanze etc. direttamente a video invece che spulciando il classico faldone di disegni a cui siamo abituati.